Estero

Faccio parte di una generazione divisa.

Chi è convinto che l’estero sia una terra promessa di opportunità e lavoro, panacea di ogni male;
e chi invece, in preda a deliri di onnipotenza, crede di poter aggiustare un paese,
rimanendo ed accontentandosi.

Non è che una delle due fazioni abbia più ragione dell’altra: c’è chi preferirà un caffé ed un piatto di pasta ad un posto di lavoro soddisfacente, e c’è chi il pasto la domenica dalla nonna non ce l’ha comunque, e spera di potersi realizzare altrove.

A livello di singolo individuo, che si ritrova di fronte a questa scelta, la risposta non è unica e non è semplice.
Ma la questione richiede, appunto, un approccio di singolo individuo.

E’ più semplice partire rinunciando ai propri affetti, o rimanere per lottare, ma negli agi delle proprie abitudini?

Non esiste una risposta universale, ognuno deve cercare la propria. Ogni volta.

Sarebbe però piacevole non sentir più la vuota retorica del “bisogna restare per cambiare le cose”, del “lo stato spende soldi per la tua istruzione e poi tu te ne scappi”.

Il senso di colpa come ancora tenetevela voi, io mi prendo la libertà di scegliere.