Deserto

Il piano terra è tutto di vetro, si può vedere dentro.
Maniglie dorate, tappetini di fronte ai divani, disposti attorno ad un tavolino basso di vetro.
Dal televisore parlano di un ragazzo morto perché indossava un cappuccio.
Provo a spingere la porta. Si apre. Dentro il volume del televisore si sente meglio, ed è l’unico suono.
In un posto così mi aspettavo almeno delle telecamere.

Vorrei sedermi su uno di quei divani rossi di finta pelle, ma è tutto così in ordine che non oso. E poi, perché sedersi? Cosa devo farci qui dentro? Non è il negozio che stavo cercando, non c’è nessuno con cui interagire. Solo la presentatrice del talk show nella televisione.

Tutto questo ordine mi fa sentire fuori posto. La strada con i suoi rumori è rimasta fuori. Quel centimetro, forse meno, di vetro, separa questo deserto completamente arredato dal resto del mondo, che sembra così lontano.

Questo deserto è la concretizzazione della solitudine: la strada, il mondo, la gente, è tutta lì, dietro quel vetro. Si vede. Si sente da quella inutile televisione che nessuno guarda. Nessuno mi ha costretto ad entrare in questo posto, ed ora che ci sono nessuno mi costringe a rimanerci. Mi sento fuori posto, ma mi ci attardo ancora un attimo. E mi godo, nonostante il disagio palpabile, il fascino di questa hall, inutilmente pronta ad accogliere un via vai di persone indaffarate che non ci sono.