La vanità del pavone

Come un blocco di marmo.

Un pavone scolpito.
Non è vanitoso, è solo così che lo hanno scolpito.
Quella ruota che lo mette al centro dell’attenzione,
lo ingombra, lo rallenta. Lui in realtà quella ruota la odia.

Vorrebbe strapparsela. Scappare da quello stupido marmo pregiato.
Volare, ma come fare senza coda?
Talmente diseducato alla felicità, da non saper nemmeno come sognare.

Il sonno della ragione genera mostri.
Ma non sono mostri a generare il sonno del mio pavone.
E dato che non sa sognare la felicità,
si tiene quello che ha:
la sua coda. La sua splendida, orribile coda.
La sua condanna, o benedizione.
Sicuramente l’unica cosa che è sua, soltanto sua, in quel mondo di statue immobili.
Nessuno ha una coda come la sua. C’è anche chi ce l’ha più bella, ma nessuna è pesante come la sua.

E dato che non sa sognare la felicità, sogna solo di volare con la sua coda,
verso il cacciatore, così crudele da essere anche lui di marmo.
Già, anche nei sogni esiste la crudeltà (chi non ricorda gli incubi infantili?).
Così crudele che col suo fucile punterà, sempre.
Ma non sparerà, mai.

E anche nel sogno il pavone finirà da solo.
Anche se non era vanitoso, solo diseducato.
E anche nel sogno il pavone è solo un masso di stupido sasso bianco.