Un teatro senza attori né spettatori, dove lo spettacolo va in scena comunque.

Non mi hanno mai affascinato gli extraterrestri.
Sarà la brutta esperienza infantile con “Mars Attack”, o la convinzione che statisticamente esistono, ma è talmente improbabile riuscire a stabilire un contatto.
Quello che mi affascina del cielo è l’assenza.
La maggior parte di quello che abbracciamo con lo sguardo quando alziamo la testa è un enorme deserto.
Non c’è vita, non ci sono sofferenze perché non ci sono soggetti che possano soffrire.
Un enorme meccanismo totalmente autonomo, dove tutto è collegato, dalle più piccole fluttuazioni quantistiche alle supernovae.
Un teatro senza attori né spettatori, dove lo spettacolo va in scena comunque.
Ed osservarlo, cercare di capirlo è inutile: lo spettacolo continuerà esattamente come prima, senza che cambi una battuta. Questo spettacolo impersonale, vuoto e totalmente indifferente, che è il palco scenico di sé stesso mi affascina.
Cercare di capirlo è un modo per fuggire, lontano dal mondo e dalle piccole vite che vi si agitano, ma contemporaneamente tuffarsi nelle origini della materia che compone questo stesso mondo.
Tracciare i passaggi necessari che hanno portato a questo, ma partendo così lontano da sapere che non sfiorerò mai qualcosa che mi riguardi personalmente.
Voglio essere parte dell’universo che guarda se stesso, per non guardare me stesso.
carina_neb