Un teatro senza attori né spettatori, dove lo spettacolo va in scena comunque.

Non mi hanno mai affascinato gli extraterrestri.
Sarà la brutta esperienza infantile con “Mars Attack”, o la convinzione che statisticamente esistono, ma è talmente improbabile riuscire a stabilire un contatto.
Quello che mi affascina del cielo è l’assenza.
La maggior parte di quello che abbracciamo con lo sguardo quando alziamo la testa è un enorme deserto.
Non c’è vita, non ci sono sofferenze perché non ci sono soggetti che possano soffrire.
Un enorme meccanismo totalmente autonomo, dove tutto è collegato, dalle più piccole fluttuazioni quantistiche alle supernovae.
Un teatro senza attori né spettatori, dove lo spettacolo va in scena comunque.
Ed osservarlo, cercare di capirlo è inutile: lo spettacolo continuerà esattamente come prima, senza che cambi una battuta. Questo spettacolo impersonale, vuoto e totalmente indifferente, che è il palco scenico di sé stesso mi affascina.
Cercare di capirlo è un modo per fuggire, lontano dal mondo e dalle piccole vite che vi si agitano, ma contemporaneamente tuffarsi nelle origini della materia che compone questo stesso mondo.
Tracciare i passaggi necessari che hanno portato a questo, ma partendo così lontano da sapere che non sfiorerò mai qualcosa che mi riguardi personalmente.
Voglio essere parte dell’universo che guarda se stesso, per non guardare me stesso.
carina_neb

Paul, ovvero McDonald il boia che ti consola nella strada verso il patibolo.

Nel paese del capitalismo le spiagge sono libere e hanno docce gratis.
Nel paese del capitalismo Paul è senza casa da 29 giorni e la polizia non gli permette di dormire nel parco.
Paul è vestito bene, solo una macchia sulla sua camicia potrebbe far sospettare la sua condizione.

-Where are you from?
-I’m Italian
-Oh!I live here…well I’m a homeless.

Paul forse è orgoglioso, forse si vergogna, ma l’elemosina non la chiede. Per questo non ha grossi problemi con le forze dell’ordine.
Mi aiuta a trovare la fermata giusta dell’autobus, dicendomi di come ha perso il lavoro a Las Vegas e si sia trasferito a Santa Monica, quartiere chic sulla costa angelina. Gli chiedo come mai venga proprio qui, dove il divario economico tra lui (e i molti altri homeless del posto) e le celebrità che lui stesso mi racconta aver visto cenare lì, o nel ristorante dietro l’angolo, etc.. è forse più evidente che altrove.

Qui è più sicuro, nonostante mi abbiano rubato tutti i miei vestiti mentre dormivo.

Una spietata guerra tra poveri.

Dopo aver dato a Paul quel poco che mi è rimasto in tasca a fine giornata, lo saluto.
Paul,spero che, come tu prevedevi questa sera, tra tre giorni avrai un tetto sulla testa, e che tu possa permetterti di mangiare a sazietà in un posto che non sia il McDonald, Subway o 7eleven, che ora sono le uniche cose che puoi permetterti.

E’ tragicomico come gli imperi del sistema che ti condanna in questa condizione siano gli unici posti in cui puoi ancora permetterti di nutrirti.

guerra in vietnam

Deserto

Il piano terra è tutto di vetro, si può vedere dentro.
Maniglie dorate, tappetini di fronte ai divani, disposti attorno ad un tavolino basso di vetro.
Dal televisore parlano di un ragazzo morto perché indossava un cappuccio.
Provo a spingere la porta. Si apre. Dentro il volume del televisore si sente meglio, ed è l’unico suono.
In un posto così mi aspettavo almeno delle telecamere.

Vorrei sedermi su uno di quei divani rossi di finta pelle, ma è tutto così in ordine che non oso. E poi, perché sedersi? Cosa devo farci qui dentro? Non è il negozio che stavo cercando, non c’è nessuno con cui interagire. Solo la presentatrice del talk show nella televisione.

Tutto questo ordine mi fa sentire fuori posto. La strada con i suoi rumori è rimasta fuori. Quel centimetro, forse meno, di vetro, separa questo deserto completamente arredato dal resto del mondo, che sembra così lontano.

Questo deserto è la concretizzazione della solitudine: la strada, il mondo, la gente, è tutta lì, dietro quel vetro. Si vede. Si sente da quella inutile televisione che nessuno guarda. Nessuno mi ha costretto ad entrare in questo posto, ed ora che ci sono nessuno mi costringe a rimanerci. Mi sento fuori posto, ma mi ci attardo ancora un attimo. E mi godo, nonostante il disagio palpabile, il fascino di questa hall, inutilmente pronta ad accogliere un via vai di persone indaffarate che non ci sono.