Negazioni

Oggi è il tuo compleanno
ma il regalo che mi chiedi,
l’unico che vorresti,
non posso (voglio) fartelo.
Proprio a te che mi hai dedicato tutto io non sono capace di regalare niente.
Non è colpa di nessuno, se non mia.
Eppure non voglio.
Non voglio essere coinvolto, non voglio esserci,
non voglio che mi riguardi.
Mi hai dato e mi dai tutto: è solo troppo.

Piazza dei Cavalieri

Piazza dei Cavalieri la sera è come un circo in cui pubblico e artisti si mescolano.
Un freak show in cui ognuno ha qualcosa da esporre.
Sulle scale di quella chiesa soffia un vento di condivisione.
Studenti e turisti, giovani e meno giovani, tutti dimenticano un po’ le loro esperienze,
le esperienze che definiscono l’identità di ciascuno, e si ritrovano sullo stesso piano (a meno di quei 3 gradini), a discutere, cantare, bere, ballare.
Perché in Cavalieri non è più importante chi sei.

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Non sono contatti profondi, non sempre, non con tutti.
Ma sono il miglior contatto superficiale che si possa avere.

In cavalieri chi si perde è perduto
. E magari un amico lo incroci solo per il tempo di un abbraccio o una stretta di mano, nonostante passiate tutta la serata nella stessa piazza, davanti alla stessa chiesa.
Mille e una notte tutte in una, nella stessa piazza che si accende di vita quando arrivano le undici.

Estero

Faccio parte di una generazione divisa.

Chi è convinto che l’estero sia una terra promessa di opportunità e lavoro, panacea di ogni male;
e chi invece, in preda a deliri di onnipotenza, crede di poter aggiustare un paese,
rimanendo ed accontentandosi.

Non è che una delle due fazioni abbia più ragione dell’altra: c’è chi preferirà un caffé ed un piatto di pasta ad un posto di lavoro soddisfacente, e c’è chi il pasto la domenica dalla nonna non ce l’ha comunque, e spera di potersi realizzare altrove.

A livello di singolo individuo, che si ritrova di fronte a questa scelta, la risposta non è unica e non è semplice.
Ma la questione richiede, appunto, un approccio di singolo individuo.

E’ più semplice partire rinunciando ai propri affetti, o rimanere per lottare, ma negli agi delle proprie abitudini?

Non esiste una risposta universale, ognuno deve cercare la propria. Ogni volta.

Sarebbe però piacevole non sentir più la vuota retorica del “bisogna restare per cambiare le cose”, del “lo stato spende soldi per la tua istruzione e poi tu te ne scappi”.

Il senso di colpa come ancora tenetevela voi, io mi prendo la libertà di scegliere.

Combattere la vita con la vita

Sono partito con questa frase, senza saper bene cosa significasse.
Ritorno senza ancora averlo capito.

Ripenso a paradisi tropicali dietro l’angolo di casa.
Ripenso a 12 ore di volo verso la solitudine,
e 3 ore di viaggio che volano in compagnia.

Anche se la compagnia potrebbe essere solo nella mia testa.

Ma il paradiso non sta nella solitudine di un deserto,
non sta sotto un sasso bianco ricoperto di acqua limpida.
Non sta nei boschi verdi, né nella pioggia.
Non sta nei capelli biondi di una bimba che si arrampica sugli scogli.

Non lo so dove sta il paradiso, ma di sicuro me lo immagino vicino
a questa parentesi nel tempo.

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L’abbiamo combattuta la vita con la vita?

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La vanità del pavone

Come un blocco di marmo.

Un pavone scolpito.
Non è vanitoso, è solo così che lo hanno scolpito.
Quella ruota che lo mette al centro dell’attenzione,
lo ingombra, lo rallenta. Lui in realtà quella ruota la odia.

Vorrebbe strapparsela. Scappare da quello stupido marmo pregiato.
Volare, ma come fare senza coda?
Talmente diseducato alla felicità, da non saper nemmeno come sognare.

Il sonno della ragione genera mostri.
Ma non sono mostri a generare il sonno del mio pavone.
E dato che non sa sognare la felicità,
si tiene quello che ha:
la sua coda. La sua splendida, orribile coda.
La sua condanna, o benedizione.
Sicuramente l’unica cosa che è sua, soltanto sua, in quel mondo di statue immobili.
Nessuno ha una coda come la sua. C’è anche chi ce l’ha più bella, ma nessuna è pesante come la sua.

E dato che non sa sognare la felicità, sogna solo di volare con la sua coda,
verso il cacciatore, così crudele da essere anche lui di marmo.
Già, anche nei sogni esiste la crudeltà (chi non ricorda gli incubi infantili?).
Così crudele che col suo fucile punterà, sempre.
Ma non sparerà, mai.

E anche nel sogno il pavone finirà da solo.
Anche se non era vanitoso, solo diseducato.
E anche nel sogno il pavone è solo un masso di stupido sasso bianco.

Ombre

La consapevolezza cambia tutto,
e a volte non basta.
Come le varie ombre
dei quattro lampioni che illuminano
la mia strada verso casa,
che si incontrano ai miei piedi.
E’ come se l’ombra invece di partire dai miei piedi,
partisse dalla testa, e tutte e quattro si rincongiungessero ai miei piedi.
Ma qual è l’ombra della mia vera testa?
Da quale direzione proviene la mia vera ombra?
Quale ombra seguirò per il mio prossimo passo?
Domande futili con risposte inutili.
Tanto alla fine sorge il Sole e i lampioni si spengono,
di ombra ne rimane una sola,
che rimpicciolisce fino a mezzogiorno,
per poi reingigantirsi fino a sera.

Tanto alla fine i lampioni si spengono,
di ombra non ne rimarrà nessuna,
e delle quattro opzioni,
una sola sarà stata quella giusta.
Quella di muoverti con i tuoi piedi,
anche se spaventato dalla tua stessa ombra.
Muoviti, scappa se preferisci.
Improvvisa, non c’è un pubblico da stupire.
Recitare non mi è mai piaciuto.
Alla fine trova un letto. Uno qualsiasi. Dover dormire qualche ora,
prima che il Sole cancelli le tue ombre,
prima che le tue ombre reinizino a danzarti intorno,
inquietandoti e tormentandoti.

La fiducia di un amico

Voglio impormi di scrivere.
Anche se non ho l’inspirazione.
Voglio impormi di buttare giù questi due pensieri,
che nella foga di una discussione non riuscirei a focalizzare.

Mi chiedo perché non dovrei dirlo.
Perché l’ho promesso?
Se non rispetto una promessa fatta perdo solo un onore che non ho.
Perché hai mostrato di fidarti di me?
A che mi serve la tua fiducia se non ci sono più i tuoi segreti da condividere?

La vita è una lotta continua hai detto. Si, no, forse, non lo so.
Concordo che per alcuni lo sia, ma le affermazioni troppo generali sono generalmente false.

Tu sei un tipo pacifico, mi hai detto. Purtroppo ricordavo pacifista, sarebbe stato più
facile costruire immagini.

Ma pacifico non significa arrendevole.

Ed il paradosso è che questo problema si pone perché non vuoi arrenderti e deporre il costume che hai indossato nel tuo personale teatro. Il tuo personaggio è davvero più importante dell’attore?
E come il burattino di te stesso preferiresti tagliare la corda
che ti anima piuttosto che arrampicartici e tagliare la mano che la comanda.

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Smetti di osservare lo spettacolo di te stesso, ed inizia a recitare in questa opera che è la tua vita.
Tu sei il regista del tuo futuro, e solo quando sarà passato potrai lamentartene.

E no, non sto adottando un ottica positivista, non ti dico che andrà tutto bene. Ti considero
abbastanza intelligente da non crederci.

Hai paura di non poter vivere facendo quello che ti piace, ma lavorare per vivere e vivere per lavorare sono entrambe sbagliate. Nel primo caso spendi la maggior parte del tuo tempo a fare cose che non ti piacciono per poter avere qualche momento di libertà. Nel secondo quello che ti piace fagocita la tua esistenza e diventa un giogo invece che uno sfizio: se non separi tempo libero e lavoro, finisci col non aver più tempo libero.

Purtroppo la soluzione non la conosco. Ma a questa età siamo come fiumi in piena che travolgono una valle. Le tue scelte, anche se sembrano così importanti, non potranno guidare il fiume. Non più di tanto. E prima di riuscire a domare le acque con dighe capolavoro d’ingegneria dovrai scorrere ancora così tanto, che qualsiasi montagna tu abbia davanti ora sarà solo una piccola ombra bluastra verso l’orizzonte. Smetti di provare ad arginare il tuo fiume se sei convinto che questo non sia il suo letto. Non significa che un letto non esista.

Legati una bandana attorno ai capelli, stringi il coltello tra i denti, e sarai un pirata pronto a cavalcare le acque tumultuose che sei.

pirate skull

Il fatto che a valle ci siano delle rapide non è un buon motivo per affogarsi a monte.

Gli argini dell’indifferenza

Sotto i cieli della california,
la classica goccia stavolta non ha rotto un vaso,
ha infranto gli argini dell’ indifferenza.
Dopo l’inondazione, rimane una placida distesa di acqua,
in cui si specchiano questi cieli.

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flood

Galleggio dolcemente su una zattera di fortuna,
e non è affollata come quella della medusa.

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Posso alzarmi, e contemplare, nella mia riservatezza,
il tramonto sui monti alle mie spalle, ed il mare quieto e vasto che mi si prospetta davanti.
Posso guardare il riflesso delle nuvole candide e paffute in quest’acqua che ora è calma.
Sono libero in questo flusso talvolta vorticoso, talvolta laminare.

Un teatro senza attori né spettatori, dove lo spettacolo va in scena comunque.

Non mi hanno mai affascinato gli extraterrestri.
Sarà la brutta esperienza infantile con “Mars Attack”, o la convinzione che statisticamente esistono, ma è talmente improbabile riuscire a stabilire un contatto.
Quello che mi affascina del cielo è l’assenza.
La maggior parte di quello che abbracciamo con lo sguardo quando alziamo la testa è un enorme deserto.
Non c’è vita, non ci sono sofferenze perché non ci sono soggetti che possano soffrire.
Un enorme meccanismo totalmente autonomo, dove tutto è collegato, dalle più piccole fluttuazioni quantistiche alle supernovae.
Un teatro senza attori né spettatori, dove lo spettacolo va in scena comunque.
Ed osservarlo, cercare di capirlo è inutile: lo spettacolo continuerà esattamente come prima, senza che cambi una battuta. Questo spettacolo impersonale, vuoto e totalmente indifferente, che è il palco scenico di sé stesso mi affascina.
Cercare di capirlo è un modo per fuggire, lontano dal mondo e dalle piccole vite che vi si agitano, ma contemporaneamente tuffarsi nelle origini della materia che compone questo stesso mondo.
Tracciare i passaggi necessari che hanno portato a questo, ma partendo così lontano da sapere che non sfiorerò mai qualcosa che mi riguardi personalmente.
Voglio essere parte dell’universo che guarda se stesso, per non guardare me stesso.
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Paul, ovvero McDonald il boia che ti consola nella strada verso il patibolo.

Nel paese del capitalismo le spiagge sono libere e hanno docce gratis.
Nel paese del capitalismo Paul è senza casa da 29 giorni e la polizia non gli permette di dormire nel parco.
Paul è vestito bene, solo una macchia sulla sua camicia potrebbe far sospettare la sua condizione.

-Where are you from?
-I’m Italian
-Oh!I live here…well I’m a homeless.

Paul forse è orgoglioso, forse si vergogna, ma l’elemosina non la chiede. Per questo non ha grossi problemi con le forze dell’ordine.
Mi aiuta a trovare la fermata giusta dell’autobus, dicendomi di come ha perso il lavoro a Las Vegas e si sia trasferito a Santa Monica, quartiere chic sulla costa angelina. Gli chiedo come mai venga proprio qui, dove il divario economico tra lui (e i molti altri homeless del posto) e le celebrità che lui stesso mi racconta aver visto cenare lì, o nel ristorante dietro l’angolo, etc.. è forse più evidente che altrove.

Qui è più sicuro, nonostante mi abbiano rubato tutti i miei vestiti mentre dormivo.

Una spietata guerra tra poveri.

Dopo aver dato a Paul quel poco che mi è rimasto in tasca a fine giornata, lo saluto.
Paul,spero che, come tu prevedevi questa sera, tra tre giorni avrai un tetto sulla testa, e che tu possa permetterti di mangiare a sazietà in un posto che non sia il McDonald, Subway o 7eleven, che ora sono le uniche cose che puoi permetterti.

E’ tragicomico come gli imperi del sistema che ti condanna in questa condizione siano gli unici posti in cui puoi ancora permetterti di nutrirti.

guerra in vietnam